L’esperto, la Tunisia non andrà a picco grazie alla preparazione dei suoi giovani

Ma l’Europa avrebbe più vantaggi ad aprire le porte con visti temporanei invece che chiuderle, dice Khaled Elloumi. E dovrebbe pagare la Tunisia per aver curato la formazione dei giovani più qualificati che scelgono di emigrare, come fanno le squadre di calcio quando acquistano i campioni.

Si esprime in modo tecnico, preciso, nella disanima di un quadro a luci e ombre delle prospettive per i giovani tunisini nella critica situazione del loro Paese, ma anche del ruolo che hanno svolto finora i governi europei, e ancora possono svolgere, per sostenerli ed evitare che altri ancora scelgano di emigrare. E che anche i giovani più qualificati la lascino, per vie legali e con un contratto di lavoro in mano, ma impoverendo ancora di più il Paese delle sue risorse umane migliori, e dunque di prospettive di sviluppo per tutti. Parliamo di Khaled Elloumi, docente universitario all’Istituto nazionale per le scienze applicate e la tecnologia di Tunisi, oltre che esperto e formatore in ambito imprenditoriale e consulente per incubatori di impresa e progetti di sviluppo con fondi internazionali.  Ingegnere di formazione e titolare di un dottorato in ingegneria elettrica, 59 anni, ha un ricco curriculum nella formazione dei giovani tunisini desiderosi di avviare una start-up sostenibile, compresi una cinquantina di coloro che hanno partecipato al progetto RESTART di COSPE, progetto per il quale ha vagliato nel contempo anche circa 120 business plan. Collabora infine con il CITET (Centro Internazionale delle Tecnologie dell’Ambiente di Tunisi) in qualità di esperto in imprenditoria verde e circolare.

Ma il tecnicismo di Elloumi si scioglie quando viene interpellato sui temi sui quali, da tempo e in particolare nell’estate 2023, è ossessivamente sensibile l’Europa: le ondate migratorie che si riversano dalla Tunisia sulle coste di Lampedusa e il nodo del sempre più controverso Memorandum siglato in luglio dalla presidente della Commissione europea, Ursula Von der Layen, e dal presidente tunisino Kais Saied: centinaia di milioni di euro per sostenere l’economia, ma anche fermare le partenze dei migranti.

Prima sorride, e commenta da ingegnere elettrico quale è: “le migrazioni dall’Africa verso la Ue non sono che l’effetto di una differenza di potenziali, come nei circuiti elettrici, con l’acqua del Mediterraneo a fare da conduttore”. Scherza, ma subito aggiunge serio: “Per l’Europa sarebbe più facile aprire le sue porte che chiuderle. Se per esempio i governi europei dessero visti di sei mesi, potrebbero tracciare più facilmente chi arriva, grazie ai passaporti e all’obbligo di indicare un domicilio, e anche rimandare indietro chi, entro quel periodo, non ha trovato lavoro”. Ma l’Europa “è molto egoista nella sua relazione con il Sud: dovrebbe costruire rapporti più equi e paritari, definendo quote di ingressi per le diverse categorie di lavoratori di cui ha necessità, e ne avrebbe molto da guadagnare. Basti pensare che solo la Francia ha bisogno di 200 mila lavoratori nel comparto del turismo, infatti con la Tunisia ha stretto un accordo per l’arrivo di 4000 tunisini da impiegare nel settore della ristorazione1, e che, senza i medici tunisini nei suoi ospedali, l’emergenza Covid sarebbe stata ancora più difficile da affrontare”. Senza contare che “dalla Tunisia emigrano in Europa e in Canada molti medici e ingegneri che – sottolinea – sono le nostre università a formare: si dovrebbe fare come nel calciomercato, con la squadra che acquista un campione tenuta a pagare anche la formazione al team che lo cede”.  Lui stesso, ricorda, era andato in Francia per studiare: “ma i giovani della mia generazione partivano per completare la loro formazione e poi tornare a casa. Ora invece chi va all’estero ci vuole restare”. Ma Elloumi ha una grande fiducia nelle risorse della sua nazione: “la Tunisia non andrà mai a picco, perché può contare sulla preparazione dei suoi giovani e sulla sua tradizionale apertura alle altre culture”.

Le start-up come motori di sviluppo, ma occorre anche accompagnarne la crescita

Ma veniamo alle start-up e alla necessità di formazione e accompagnamento per chi le vuole avviare un’impresa, un campo nel quale Elloumi opera con vari partner pubblici, ma anche con la cooperazione internazionale e appunto con l’italiana Cospe. Con l’uscita di scena del presidente Ben Ali nel 2011, “ha preso il via una vita associativa a livello locale, e gli attori internazionali hanno cominciato a finanziare questo tessuto associativo per creare un sistema a sostegno delle imprese. In questo modo anche il settore privato ha cominciato a investire in capitale di rischio e occuparsi dell’accompagnamento delle nuove imprese”. E anche se fra queste non erano molte a sopravvivere, il loro successo bastava a compensare il fallimento delle altre. Al punto che nel 2018 fu varata una legge molto favorevole, lo Start-up Act, con cui di fatto lo Stato garantisce alle imprese innovative un sostegno a fondo perduto, con varie facilitazioni fra cui otto anni di esenzione dalle tasse, e un accompagnamento a più livelli. E che giudizio si può dare dei finanziamenti europei che incoraggiano l’imprenditorialità locale? Questi vanno nella giusta direzione, risponde, ma hanno alcune rigidità, in particolare nei criteri imposti per la redazione dei business plan. “Invece di lavorare sui loro fogli Excel – suggerisce- gli investitori internazionali dovrebbero venire in Tunisia, conoscere il Paese e la sua mentalità, e occuparsi anche della fase successiva alla creazione di impresa”.

Non priva di problematiche anche il settore della produzione agricola rispettosa dei principi delle green economy. “Comporta costi maggiori – evidenzia l’esperto – e dunque prezzi più alti per il consumatore”. Senza contare che in Tunisia vi sono sì leggi, ma non sanzioni efficaci contro chi inquina, e dunque manca un ulteriore incentivo per chi vuole produrre nel pieno rispetto dell’ambiente.  Un percorso a ostacoli – evidenzia ancora l’esperto - è anche contenere la diffusione dei rifiuti di plastica nell’ambiente. Per esempio, se i sacchetti di plastica sono vietati nei supermercati, vengono ancora usati nei piccoli negozi locali”. E vi sono persone che vivono proprio grazie alla raccolta della plastica, ricorda, citando uno dei settori dell’economia informale dai quali ancora dipende la sussistenza di molti.

 

L’Economia sociale e solidale come incentivo a investire nel territorio

Ma quale è il valore dell’Economia sociale e solidale, come risposta alle criticità del presente? “Bisogna distinguere il piano macro-economico da quello micro-economico”, puntualizza Elloumi. Nel primo caso, evidenzia, la Tunisia sconta ancora la mancanza di scelte coraggiose nei decenni passati, come la decentralizzazione - che avrebbe potuto favorire molto prima lo sviluppo infrastrutturale, anche in zone molto produttive come Sfax – e una più equa ripartizione delle risorse pubbliche tra le zone costiere e quelle interne. Ma sul piano micro-economico, conclude, l’ESS può essere cruciale “per far vivere meglio le persone sui loro territori, con attività economiche che garantiscano un buon reddito, e siano sostenute attraverso le cooperative fino alla vendita sul mercato. Se le donne nelle zone rurali possono lavorare meglio, per le famiglie migliora la qualità della vita, i giovani saranno meno frustrati per le proprie condizioni. Anche questa – conclude - è una risposta al problema dell’emigrazione”.

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Note:

1 https://www.ouest-france.fr/monde/tunisie/penurie-de-saisonniers-en-france-la-main-d-oeuvre-tunisienne-bientot-a-la-rescousse-96fe0d12-0e58-11ed-9988-8d99268291f5

 

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